LO SPORT NEI 150 ANNI DI UNITA' D'ITALIA

di Alberto Iaccarino- relazione G.Gori (del 07/10/2011)



Nella sala della Provincia “W. Pierangeli”, alla presenza di un nutrito numero di giovani atleti della Scavolini-Siviglia Basket, Pesaro Nuoto e  Scavolini Volley, il nostro Club ha festeggiato, Venerdì 7, i 150 di Unità d’Italia ed il ruolo che ha avuto lo sport.
Dopo i saluti del Vice Prefetto Vicario Dott. Paolo De Biagi, dell’Assessore allo Sport della Provincia di Pesaro-Urbino, Dott. Massimo Seri e del Sindaco di Pesaro, Prof. Luca Ceriscioli, sono intervenuti il Presidente Internazionale Enrico Prandi che ha ricordato il ruolo del Panathlon in questi 60 anni di vita, la Prof.ssa Gigliola Gori che ha trattato lo sviluppo e le trasformazioni dello sport dal 1861 alla fine del fascismo ed infine uno straripante Darwin Pastorin ha deliziato la platea con il ricordo della sciagura di Superga del 1949, e della nottata di Italia-Germania 4-3 a Città del Messico’70, leggendo versi e racconti.
Il Presidente Alberto Iaccarino si è invece rivolto ai giovani ricordando loro come nella vita di un atleta debbano  essere sempre ricordati etica e fair-play.


Infine durante la cena conviviale prima è stata premiata con il Premio “POSTO D’ONORE”- Agide Fava l’atleta della Pesaro Nuoto Team Ludovica Galli del Liceo Classico “T: Mamiani” ed infine Vittorio Cassiani ha ripercorso, come solo lui sa fare, i tempi andati di uno sport pesarese riccvo di successi e di personaggi.


Panathlon Club
Sala del consiglio provinciale di Pesaro-Urbino
Conferenza del 7 Ottobre 2011
Relazione di Gigliola Gori


Il mio intervento si incentra sullo sviluppo dello sport nella sua più ampia accezione, durante gli anni del Regno d’Italia. Si tratta di un lungo percorso, oltre 70 anni densi di eventi storici e di rivolgimenti politici e sociali, la cui chiave di lettura può cogliersi nell’ideologia nazionalistica che lo attraversa e lo raccorda. 


L’associazionismo ginnastico e sportivo nell’età postunitaria
Come è noto, lŽobiettivo dell’unificazione politica e territoriale dell’Italia fu raggiunto nel 1861 e perfezionato nel 1870 con la presa di Roma. Il potenziamento dell’esercito ebbe parte attiva in tale processo, come del resto accadeva in altri paesi quali la Svezia, la Svizzera, la Germania, dove un esteso movimento a favore della ginnastica riempiva le palestre. In tali luoghi, vere e proprie “fucine di nazionalismo” per dirla con il ‘padre’ della ginnastica tedesca Friedrich Ludwig Jahn (nel suo Die Deutsche Turnkunst pubblicato a Berlino nel 1816), i giovani imparavano ad amare la patria attraverso la pratica della ginnastica.
Durante il Risorgimento si registrò un incremento dell’addestramento fisico e del tiro a segno presso le scuole militari del Regno di Sardegna (1833), ad opera del maestro di ginnastica svizzero Rudolf Obermann, un seguace del tedesco Adolf Spiess a sua volta allievo di Jahn. La ginnastica di Obermann suscitò ben presto l’interesse dell’elite aristocratica e borghese di Torino, di Genova e di altre importanti città del nord Italia. Sorsero palestre che erano insieme luoghi deputati all’esercizio fisico ed alla mobilitazione spirituale, ove si incontravano atleti e cospiratori accumunati dallŽamore per la patria e per la ginnastica. I loro eroi erano Giuseppe Garibaldi tiratore, schermidore, cacciatore e nuotatore provetto, e Nino Bixio, eccellente nella scherma. Disposti ad immolarsi per lŽunità dŽItalia, alcuni di quei giovani coraggiosi persero la vita per realizzare il loro sogno.
Nel giovane Regno, la popolarità del tiro a segno portò nel 1861 alla fondazione della prima federazione nazionale, seguita nel 1869 dalla nascita della Federazione Ginnastica Italiana (FGI) che operò per accrescere l’esiguo numero delle società locali (erano solo 5) a fronte, ad esempio, delle 1800 società di ginnastica già attive in Germania.
Per una serie di motivi che in questa sede non si ritiene opportuno approfondire, fu necessario creare un nuovo ente nel 1888, denominato Federazione Ginnastica Nazionale (FGN), in sostituzione del precedente. Come riportano le statistiche, le società di ginnastica nel 1890 raggiunsero le 110 unità, con una distribuzione speculare al livello di modernizzazione raggiunto dalle singole realtà territoriali, ossia con 76 società al nord, 30 al centro e 4 al sud del paese. Come nuova bandiera della FGN fu scelto il tricolore, come presidente effettivo il ministro della guerra Pelloux, come presidente onorario il Re Umberto I, come madrina la sportiva Regina Margherita, in gioventù ginnasta, poi valente alpinista e impavida velocipedista.
La FGN assurse a simbolo-stesso della nazione, veicolandone i valori fondanti ed accogliendo al suo interno non solo la ginnastica ma anche l’atletica e vari sport, come il nuoto, il ciclismo, la voga, il tennis. La federazione, poi denominata nuovamente FGI, fra l’altro organizzava ogni 3 anni un grandioso concorso ginnastico nazionale. Masse di cittadini richiamati dalla passione per lo sport e la ginnastica, dallo sventolio del tricolore, dai canti, da un comune sentimento di italianità che si esaltava attraverso le vittorie degli atleti, furono partecipi di riti collettivi di grande suggestione, celebrati nelle più belle città d’Italia, come a Bologna (1901), a Firenze (1904), a Venezia (1907).


La ginnastica  a scuola
L’impronta risorgimentale che vedeva nella ginnastica lo strumento pedagogico principe per la formazione fisica e morale dei cittadini trovò un tangibile riconoscimento con la Legge scolastica del 1859 a firma Gabrio Casati. Compiuta l’unificazione, il governo liberale dovette infatti fronteggiare il grave fenomeno dell’analfabetismo rendendo obbligatoria la frequenza della scuola primaria. Parimenti, influenzato dai nuovi studi bio-medici e socio-psicologici, il governo affrontò il problema di come opporsi alle malattie del corpo e della mente, e quindi alla degenerazione della stirpe italiana. Fu così demandato alle istituzioni scolastiche il compito di impartire ai giovani lezioni di igiene, e di inserire come materia obbligatoria la ginnastica educativa, i cui programmi seguivano il modello militaresco importato, come si è detto, dallo svizzero Obermann.
Tuttavia la nuova disciplina veniva impartita poco e male, sia per mancanza di strutture e di personale, sia per una certa riluttanza delle classi soprattutto piccolo borghesi ed operaie ad accettare nel ‘sacro tempio’ dell’istruzione una tale inusitata e funanbolica disciplina, che molti paventavano fosse anche dannosa per la salute dei giovani. Si trattò agli inizi di un esperimento di modesta entità; dati statistici riportano infatti che al termine dell’anno scolastico 1863-64 si contavano solamente 187 insegnanti di ginnastica, dei quali 48 patentati; la nuova disciplina aveva impegnato in totale 17.980 studenti e solo 57 studentesse; e dei 255 istituti scolastici coinvolti appena 41 possedevano sufficienti attrezzature.
Così, nel 1878 una legge scolastica ad hoc, a firma Francesco De Sanctis (detto dai suoi detrattori il Ministro della ginnastica) ribadì l’obbligatorietà della ginnastica educativa da praticarsi per almeno mezz’ora al giorno nelle scuole elementari, e per almeno due/tre ore settimanali in quelle secondarie. Questa legge ebbe puntuale applicazione, tuttavia nel programma i giochi e gli sport moderni furono ignorati, contrariamente a quanto accadeva in altre nazioni europee quali l’Austria, l’Ungheria, la Germania e la Francia. Richiedendo intelligenza tattica e iniziativa individuale, tali attività non sembravano opportune né funzionali agli obiettivi nazionalistici del paese. A scuola dominava indisturbata la solita ginnastica militaresca, con esercitazioni ai grandi attrezzi sovente incongrue rispetto all’età degli alunni, con marce a ranghi serrati e con noiose sequenze di esercizi collettivi da eseguire in perfetta simmetria e sincronia. Le lezioni di ginnastica, difficili da memorizzare e scientificamente inconsistenti quando non pericolose, avevano tuttavia il pregio di educare al coraggio, all’obbedienza e alla disciplina, ossia alle qualità che si richiedono ai militari. Occorreva infatti addestrare i futuri soldati di un esercito forte in numero e qualità.
Una politica ambiziosa vide l’Italia legarsi nel 1882 a potenze quali l’Austria-Ungheria e la Germania, mentre il governo propugnava il mito della Nazione Armata. Tale politica si scontrava però con le precarie condizioni di salute dei soldati di leva che, pur provenendo da aree culturali ed economiche molto diverse, erano accumunati dal fatto di non soddisfare che nel 10% dei casi i parametri minimi richiesti per il superamento della visita medica.
Nel 1890, un clima politico sempre più effervescente propiziò la fondazione della Lega per la Nazione Armata mediante le Palestre Marziali, un organismo centralizzato al quale aderirono la gran parte degli insegnanti di ginnastica, compreso l’illustre Dr. Emilio Baumann. Con il trascorrere degli anni egli divenne il più autorevole sostenitore della cosiddetta ginnastica ‘italiana’, ispirata a quella tedesca e a quella svedese di Ling, da praticarsi nelle palestre scolastiche o in ogni altro possibile spazio fra i banchi delle aule, ma anche nei corridoi e perfino negli scantinati. Ovviamente, richiedendo disciplina ferrea e pronta esecuzione dei comandi, anche la ginnastica ‘italiana’ di Baumann mal si conciliava con la pratica dei giochi e degli sport che restavano fuori  dall’ambito scolastico. Gli sport moderni, ovviamente, erano conosciuti e venivano praticati dagli appassionati nelle ore del tempo libero dal lavoro. I cittadini si esercitavano presso le società di ginnastica e gareggiavano sotto il controllo delle federazioni nazionali che via via sorgevano per promuovere i nuovi sport, dal velocipedismo (1885) al canottaggio (1888), al tennis (1894) al calcio (1898).
Tornando alla scuola, con la successiva Legge Credaro del 1911 la ginnastica, ora modernamente denominata educazione fisica, nella sostanza mantenne il ruolo che le era stato assegnato fin dagli esordi, che era quello di aiutare i cittadini a procreare figli sani, forti e disciplinati, idonei alla leva militare, capaci nel lavoro, obbedienti alle leggi e infine pronti ad immolarsi per la grandezza della nazione. In verità, nel nuovo programma di educazione fisica erano stati inseriti anche dei giochi e qualche sport ma per mancanza di mezzi e per l’impreparazione del corpo docente tutto restò sulla carta.
Già da anni eminenti scienziati italiani, fra i quali quali Paolo Mantegazza e Angelo Mosso, si erano spesi a favore dello sport per tutti e per tutte le età, ben consapevoli dei benefici effetti dello sport nell’ambito igienico, sociale e pedagogico. Tuttavia la loro pur autorevole voce non fu troppo ascoltata dai governanti che, sempre aspirando ad entrare nel gotha delle potenze internazionali, forzavano il processo di nazionalizzazione in corso nella direzione del più acceso militarismo. Ne risultò dapprima la guerra coloniale in Libia e quindi la partecipazione alla Grande Guerra.


Estetica ed educazione sportiva nei primi quarant’anni del XX secolo
Il tema della cultura e dell’estetica ‘modernista’ del corpo come necessità sociale venne alla ribalta al termine del primo decennio del Novecento. Dapprima tale tema fu clamorosamente enunciato dai futuristi, che nell’esaltare la gioventù, lo sport, il dinamismo, la ‘fisicofollia’ - ma anche la guerra “sola igiene del mondo” - teorizzavano dai loro manifesti il nazionalismo e la “supremazia della ginnastica sul libro”; in seguito, il tema fu ripreso e rimodellato durante il ventennio fascista.
Al termine della Grande Guerra la cultura del corpo e quella dello sport, che ne era la massima espressione, si accentuò notevolmente. Come dimostrano i numeri, le società sportive in soli 10 anni (1915-1925) passarono da 200 a 503 unità; ma fu Mussolini che fece esplodere il fenomeno della sportivizzazione di massa, allorquando la ‘mistica’ dello sport diventò una sorta di filosofia di vita, l’attività ginnastica una necessità pedagogica ed eugenetica, e le vittorie sui campi di gara una gloria per la nazione.
Una volta instauratosi saldamente al potere, Mussolini si adoperò per popolarizzare l’offerta di varie attività sportive, che costituivano una preziosa fonte di consenso e una necessità ineludibile per costruire una nazione moderna, competitiva e al passo con i tempi, che avrebbe suscitato lŽammirazione degli altri popoli. L’idea guida di Mussolini era quella di trasformare gente malaticcia, pigra e facinorosa - così egli giudicava gli italiani - in un popolo sano, dinamico e coeso, pronto a “credere, obbedire, combattere”. In cambio, il Duce offriva a tutti i cittadini la possibilità di praticare attività un tempo riservate all’elite; a loro volta, i cittadini sperimentavano la gradevole sensazione di essere al centro dell’attenzione del governo. I risultati furono ben presto tangibili: se nel 1928 si contavano 502 impianti fra palestre, campi sportivi e campi di gioco, nel 1935, dopo soli 7 anni, essi decuplicarono raggiungendo le  5.198 unità.
Una volta soppressa di ogni altra forma di associazionismo giovanile estranea al fascismo, il regime acquisì il monopolio dell’educazione fisica e dello sport, agendo a livello scolastico, extrascolastico e del  tempo libero. Tutto fu affidato a nuovi enti come l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia (ONMI), l’Opera Nazionale Balilla (ONB), i Gruppi Universitari Fascisti (GUF), l’Opera Nazionale Dopolavoro (OND), o ad enti preesistenti ma ‘fascistizzati’ come il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI). La Carta dello Sport del 1928 ne regolamentò le attribuzioni.
In particolare, l’Opera Nazionale Dopolavoro (OND) fu quella di maggiore successo. Nel 1935 essa vantava ben 771 sale cinematografiche, 1.227 teatri, 2.066 compagnie filodrammatiche, 2.130 orchestre, 3.787 bande, 10.302 associazioni professionali e culturali, 6.427 biblioteche, 994 scuole corali. Fra le attività trovava spazio anche la pratica degli sport e dei giochi tradizionali: in quel 1935 si contarono 11.159 sezioni sportive non agonistiche e 4.704 sezioni sportive agonistiche.
Fu parimenti importante l’iniziativa di aprire colonie climatiche estive al mare, in collina, ai laghi e in montagna, che ospitavano i bambini più bisognosi di cure e di nutrimento. L’ambizioso obiettivo del Duce di accogliere nelle colonie, entro il 1938, un milione di bambini fu all’incirca raggiunto.
I nuovi enti programmavano la rappresentazione di sé, e quindi del credo fascista, mediante raduni spettacolari dove al cerimoniale usuale, con i suoi riti e i suoi simboli, si univano saggi di abilità ginnico-sportiva nel nome dellŽattivismo e della forma fisica. Si ricordano i Littoriali, gli Agonali, i Ludi Juveniles, i Campi Dux e i Concorsi dellŽOND dove, quando possibile alla presenza del Duce e dei gerarchi, folle di spettatori seguivano con entusiasmo le prodezze degli atleti in divisa.
A livello internazionale, in quegli anni l’Italia sportiva colse memorabili successi: basti ricordare il secondo piazzamento alle Olimpiadi di Los Angeles del 1932, il terzo alle Olimpiadi di Berlino del 1936, la conquista della Coppa Rimet nel 1934 e nel 1938, e le affermazioni dei nostri pugili, ciclisti, aviatori, automobilisti e atleti, come Carnera, Binda, De Pinedo, Nuvolari, Valla, solo per citarne alcuni.
I professionisti dello sport erano incentivati da agevolazioni economiche, onori e premi; esaltati dalla propaganda che li divinizzava come super eroi, i MussoliniŽs boys - come li aveva definiti la stampa americana nel 1932 - oltre ad accrescere lŽorgoglio nazionale esportavano con le loro vittorie lŽimmagine di un paese forte, virile, dinamico, in grado di competere con le grandi potenze mondiali.
Nella seconda metà degli Anni Trenta le mire espansionistiche del Duce ebbero unŽaccelerazione e di conseguenza gli obiettivi del regime si ridefinirono; alla nazione genericamente militarizzata si sostituì il modello della nazione armata, forte ed aggressiva. L’indottrinamento ideologico e lŽaddestramento fisico crebbero in vista dei futuri conflitti.
Fondato lŽImpero dopo la vittoriosa guerra in Etiopia, nel 1937 la totalità delle organizzazioni per i giovani fino ai 21 anni fu inglobata nella Gioventù Italiana del Littorio (GIL), alle dirette dipendenze del Partito Nazionale Fascista (PNF). Nel 1939 il proselitismo della GIL portò a ben 7.891.547 iscritti fra bambini, adolescenti e giovani sotto i 21 anni. Alla fine del 1942 si registrò la massima espansione del PNF, le cui organizzazioni raccoglievano in totale 27.376.71 iscritti, ossia più della metà della popolazione che allora assommava a circa 46 milioni di individui.
Concludendo, si può ragionevolmente affermare che la spinta propulsiva del regime fascista stimolò una maggiore attenzione all’igiene e alla salute, come pure giovò allo sviluppo dello sport agonistico ed amatoriale, ed alla sua diffusione nella scuola e nella società. Qualcuno potrebbe chiedersi se in regime di democrazia tutto ciò sarebbe ugualmente stato possibile ma la storia, come recita una vulgata, non si fa con i se e con i ma. Quel che è certo è che la rovinosa alleanza con Hitler e la tragedia della guerra lasciarono una pesante eredità al nostro dopoguerra, e che lo sport, anche per il suo essere stato una sorta di fiore all’occhiello del fascismo, ne risentì non poco.


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