Atletica Leggera: fantastico mix di sacrificio, fatica e soddisfazioni

di Massimo Fiorentino (del 13/05/2016)



Una bella domanda, quella “inventata” dal Panathlon Club di Pesaro guidato dalla Presidente Barbara Rossi: "Atletica. Il dominio africano è solo una differenza genetica?". Il Club ha chiesto la risposta a due ospiti di eccezione, nell’incontro tenuto venerdi 13  maggio all’Hotel Flaminio davanti a Presidenti e rappresentati dei sodalizi di Fano (Giovanni Orciani), Senigallia (Stefano Ripanti) e Ancona (Andrea Carloni), co-organizzatori con Pesaro dell’evento, oltre al Presidente di Ascoli Piceno (Francesco Silvi), e Rimini (Maurizio Campana), atleti ed appassionati, presenti anche il Governatore dell’Area 5 Luigi Innocenzi, l’ex governatore Giorgio Dainese, il vicesindaco di Senigallia Maurizio Memè.
Gli ospiti erano Alessandro Lambruschini (già componente della Squadra Nazionale di atletica leggera, specialista dei 3000 siepi, Medaglia dī oro agli Europei di Helsinki 1994, Medaglia di bronzo olimpico ad Atlanta 1996), e Luciano Gigliotti (Allenatore Nazionale, che ha lavorato tra l’altro con Renzo Finelli, olimpico a Città del Messico 1968; Gelindo Bordin, oro olimpico a Seul 1988; Stefano Baldini, oro olimpico ad Atene 2004; Alessandro Lambruschini).
Molte le considerazioni e gli aneddoti venuti fuori durante l’incontro, sempre di grande interesse ed in un numero così grande che non è possibile riportarne l’elenco.  Ma alla fine l’opinione comune, scaturita grazie anche al conduttore della serata Andrea Carloni, giornalista ed ex atleta nazionale di atletica leggera, è stata che la differenza principale tra gli atleti di pelle nera e i nostri non è tanto nel fisico, ma nell’ambiente in cui vivono gli uni e gli altri: “Un atleta africano – ha detto Gigliotti – ancora oggi cresce nei primi anni in una sorta di palestra naturale, corre, gioca all’aperto, magari va a scuola a piedi a chilometri di distanza, mangia cibi naturali, ha una fame “atavica” di risultati. L’atleta bianco, italiano o europeo, è invece molto più appagato, ha già superato questa fase. Poi, è chiaro che il talento di base ci deve essere”.
Anche Lambruschini è della stessa opinione: “I ragazzi di oggi (italiani, ma non solo) hanno mille distrazioni, che spesso li portano a stare chiusi in casa, a scapito di allenamento e attività fisica. Io giocavo sempre in strada, non stavo mai fermo. E anche i genitori di oggi, iperprotettivi, che spianano la strada ai figli in ogni momento e in ogni occasione, non aiutano i ragazzi ad abituarsi alla competizione che troveranno nello sport ma poi anche nella vita”.
Gigliotti ha poi voluto sfatare un altro mito negativo: “E’ sbagliato dire che l’atletica è sinonimo di fatica e sacrificio. Nessuno ti ordina di correre. Se lo fai deve essere un piacere. Non ci sono strade più “corte” o più facili, per raggiungere il risultato. L’unico “doping” accettabile è quello mentale: la voglia di ottenere il risultato. La convinzione sulle tue capacità può essere una molla fortissima per andare meglio degli altri”.
Anche in questo caso Lambruschini si è dimostrato d’accordo: “Fatica e sacrificio ci sono sicuramente, nell’atletica, ma in mezzo c’è un elemento fondamentale: la soddisfazione. Io giocavo bene a calcio, ma ho scelto di fare atletica. La mia famiglia non ha posto nessun ostacolo. Ho avuto la fortuna di lavorare in un ottimo gruppo di atleti, rivali accesi in pista, ma amici fuori. Io lavoravo duramente, l’atletica a quei livelli è un mestiere vero e proprio, ed ho potuto partecipare a tre Olimpiadi: nelle prime due ho raggiunto il quarto posto, la famosa medaglia di legno. Non sono stato contento: nell’ultima occasione ho voluto migliorare a tutti i costi e sono arrivato al bronzo. Ma ogni volta ero soddisfatto, perché sapevo di avere dato il meglio di me stesso”.
La serata si è conclusa con l’ultima considerazione di Lambruschini: “Nella vita non si provano le stesse emozioni che si posso provare nello sport. Vale sempre la pena di provarci”.




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